Digitalizzazione, realtà aumentata, stampa in 3D, Internet delle Cose, logistica adattativa. Le nuove tecnologie confluiscono rapidamente nella costruzione di sistemi ciberfisici – luoghi di incontro tra virtuale e reale – che cambieranno profondamente il modo di vivere, lavorare, produrre. E potrebbero salvare l’Europa dalla desertificazione industriale.
Amberg, 2014. Inaugurata da Siemens, l’avanguardistica “Fabbrica Digitale” offre un assaggio di futuro. Macchine e computer gestiscono in autonomia il 75% della catena del valore. Il ruolo del fattore umano nelle produzioni diventa marginale a livello quantitativo, strategico nel disegno di processi sempre più customizzati. La digitalizzazione dei processi produttivi anticipa l’avvento dei sistemi ciberfisici della quarta rivoluzione industriale. I prodotti comunicano con le macchine e le macchine adattano il proprio comportamento alle condizioni di produzione in tempo reale. Potenzialmente, si creano le condizioni per un’industria on-demand, con il cliente che contribuisce a disegnare il prodotto, o anche a modificare l’ordine in corso d’opera. Con la fine della gerarchia di processo fordista si entra nell’era della collaborazione industriale. L’ottimizzazione dei processi di produzione, ad Amberg, ha reso risibile il margine di errore e aumentato esponenzialmente la produttività dell’impianto. Senza toccare la superficie, Siemens produce oggi 8 volte di più. Un segnale in controtendenza con la costante perdita di competitività dell’industria europea negli ultimi due decenni.
Se negli anni 90’ Stati Uniti, Giappone, Germania, Italia, Gran Bretagna e Francia generavano da soli il 60% del valore aggiunto industriale mondiale con gli emergenti fermi al 21%, nel 2011 la situazione è cambiata. Le economie emergenti sono balzate al 40%, mentre l’Europa ha perso il 10% della propria produzione, passando dal 36% al 25% del totale. Sotto la pressione competitiva di altre regioni, Asia in primis, dell’outsourcing e della delocalizzazione, l’Europa ha visto diminuire significativamente gli impieghi nel settore manifatturiero. La perdita ha toccato punte del 29% in Gran Bretagna, del 20% in Francia, e si è attestata all’ 8% in Germania.
Ed è proprio la Germania ad aver intuito per prima il potenziale dirompente delle trasformazioni tecnologiche in atto. A fronte di scenari apocalittici sulla fine del lavoro e la marginalizzazione del fattore umano nella produzione, l’inarrestabile digitalizzazione dell’economia potrebbe generare entro il 2030 significativi incrementi di produttività – fino al 25%, secondo stime – e salvare l’Europa dalla desertificazione industriale. Un’opportunità, certo, ma densa di rischi. Come ha dichiarato Matthias Machnig, Segretario di Stato tedesco, nessuno può anticipare che corso prenderanno le cose.
Tentare di governare l’ingovernabile è però il compito della buona politica. Per questo, con acribia tutta tedesca, Berlino ha concepito dal 2011, una strategia trasformativa dell’industria e della società, un vero e proprio piano di reindustrializzazione, battezzata Industrie 4.0.
Il termine, utilizzato per la prima volta alla fiera di Hannover nel 2011 fu considerato all’inizio poco più di uno slogan. Internet, si diceva, esiste dalla fine degli anni 70’. Completamente diverso è oggi però il contesto. Innanzitutto, molte tecnologie arrivano a maturazione. La sola capacità computazionale ha raggiunto l’inconcepibile volume di 50.000.000 di dati al giorno, rispetto ai soli 50.000 del 1991. Il deep learning apre la strada a macchine realmente intelligenti. Le cose si animano in un continuum di reti sempre più veloci.
Resta aperta la grande incognita degli standard, del linguaggio dell’Internet delle Cose. Come parleranno tra loro gli oggetti di domani? Chi controlla lo standard controlla la rete. Chi controlla la rete controlla l’heartland. Adagio di geopolitica moderna.
Il successo dell’azione di Berlino risiede nella partecipazione organizzata di tutti gli attori sociali. Fin dall’inizio sono stati coinvolti i giganti dell’economia tedesca, individualmente e attraverso le associazioni industriali. Risultato, 6000 aziende sono entrate nella Piattaforma Industrie 4.0. Accanto alle imprese, centri di ricerca e di innovazione – fra tutti, l’autorevolissimo Fraunhofer – le università, i gangli del governo locale e statale. Non potevano mancare, nel paese della codeterminazione, le rappresentanze sociali e sindacali.
Una strategia di alto livello volta a disegnare la Germania del futuro. Nelle parole della Ministra dell’Educazione e della Ricerca Wanka: “la nostra forza è nel fatto che riusciamo a lavorare insieme, imprese, settore pubblico, parti sociali”. Oggi, la sfida è quella dell’integrazione delle aziende del poderoso Mittelstand, la spina dorsale dell’economia del paese. Imprese rese caute dalle sfide della cybersecurity.
Per coinvolgere il Mittelstand, Berlino sta attrezzando centri di trasferimento tecnologico e di esperienze dove potranno essere finanziati dei test di applicazione e modellazione di soluzioni e prodotti. Tutto per accompagnare le imprese più piccole nei processi di trasformazione. Un esempio di azione top-down ben organizzata. Sempre la Ministra Wanka sollecita i sindaci a farsi “agenti” della piattaforma, per raggiungere le aziende del territorio.
Da questo punto di vista, la sfida più complessa riguarda la trasformazione del ruolo del fattore umano nella creazione di valore. Come ha ricordato ancora Matthias Machnig. L’Industria 4.0 si confronta con un’organizzazione del lavoro 2.0. Alla politica il compito di progettare la qualificazione e riqualificazione dei lavoratori, in quella che sarà una sfida epocale.
Se non si sa dove si va, una cosa almeno è chiara a Berlino. Bisognerà arrivarci insieme all’Europa. È stato questo il leitmotif degli interventi dei politici e dei rappresentanti dell’industria tedesca nei panel di discussione che hanno avuto luogo alla Fiera di Hannover. Anche la poderosa economia tedesca con i suoi 80 milioni di consumatori è troppo piccola per il mondo. La taglia minima del mercato digitale è l’Unione Europea.
In attesa di una strategia centrale a Bruxelles, programmi bilaterali sono stati avviati con la Francia, che ha costituito la sua Alliance Industrie du Futur, l’Olanda che opera attraverso la Smart Industry e naturalmente gli Stati Uniti, partner imprescindibile con il suo Industrial Internet Consortium.
L’Italia, seconda economia industriale dell’Europa, le cui migliaia di piccole e medie imprese sono fortemente integrate nella supply chain dell’industria tedesca e spesso all’avanguardia in termini di innovazione, è presente, ma incerta. Ad Hannover, ad esempio, tra gli espositori oltre 200 sono italiani.
L’innegabile vitalità delle imprese, si accompagna forse ad una minore incisività del livello politico. Se la Cancelliera Merkel e il Presidente del Consiglio Renzi hanno ribadito a più riprese il forte impegno a sostenere la collaborazione e l’integrazione dei due paesi sui temi dell’Industria 4.0, all’Italia manca ancora una piattaforma e una struttura.
Il Cluster Fabbrica Intelligente, che dovrebbe in un certo modo esserne il precursore, non ha ancora raggiunto una dimensione nazionale. Al Ministero dello Sviluppo Economico da tempo Stefano Firpo lavora ad un piano di azione Industria 4.0 per l’Italia. Il Ministro Calenda promette che il documento uscirà presto dal cassetto.